Smog e tumore al polmone, studiata la correlazione

Ad ogni incremento di 5 μg/m3 di PM2,5 il rischio di cancro sale del 18%, e del 22% a ogni aumento di 10 μg/m3 di PM10.

 

MILANO - Di smog si parla tradizionalmente da ottobre in poi, quando le caldaie accese raddoppiano o quasi l'effetto del traffico. Ma l'inquinamento dell'aria è più cattivo in estate, soprattutto nei paesi del Sud Europa. È questo uno dei risultati più interessanti del progetto "Medparticles", una sorta di summa degli effetti sanitari del particolato atmosferico la cui riunione conclusiva si è tenuta a Roma il 10 luglio. Le ricerche presentate al convegno hanno infatti confermato anche per le città mediterranee un aumento di rischio di mortalità e di ricoveri per cause cardiache e respiratorie con il crescere della concentrazione delle polveri. Ma perché le polveri "latine" dovrebbero essere più nocive di quelle statunitensi? E perché di più in estate?

 

«Possiamo avanzare alcune ipotesi - spiega Massimo Stafoggia, del Dipartimento di epidemiologia ambientale della Regione Lazio, fra i primi firmatari dei due studi usciti su Environmental Health Perspectives -. Prima di tutto la composizione chimica delle polveri sottili in Europa è diversa che negli Usa, visto che le auto diesel da noi sono circa il 50% e oltre Atlantico il 2%. Questo fa sì che le nostre polveri siano più ricche del tossico carbonio elementare. Inoltre nelle città considerate dallo studio (Milano, Torino, Bologna, Parma, Reggio Emilia, Modena, Roma, Marsiglia, Madrid e Barcellona) c'è molto traffico, in alcuni casi anche

marittimo, e molto sole, che trasforma le polveri in inquinanti secondari ancora più nocivi. Nell'area mediterranea infine c'è una maggiore frequenza di incendi incontrollati e di ricaduta delle sabbie sahariane alle nostre latitudini, che nel loro viaggio dal deserto fino a noi si portano dietro sostanze inquinanti». Un bel cocktail, non c'è che dire, che affligge cuore e polmoni soprattutto nelle grandi città nei mesi più caldi, quando si sta così volentieri fuori casa a "tirare il fiato" dopo tanto lavoro.

 

 

TUMORE AL POLMONE - A rincarare la dose giungono due studi pubblicati sempre il 10 luglio su Lancet. Il primo, coordinato dal Centro di ricerca danese sul cancro, ha seguito per 13 anni una popolazione sparsa per tutta Europa di 313mila persone (fra le quali anche quelle seguite da ricercatori italiani a Roma e a Torino), individuando un chiaro nesso fra esposizione a polveri e tumore al polmone. In particolare nella forma che colpisce anche i non fumatori (adenocarcinoma). I ricercatori sono riusciti a mettere in relazione i 2.095 casi di tumore al polmone insorti in quelle popolazioni nel periodo considerato con il livello di polveri alle residenze dei malati, riuscendo pure a correggere per potenziali effetti confondenti come il fumo, la dieta e il tipo di occupazione. Si è visto così che a ogni incremento di 5 μg/m3 di PM2,5 il rischio di tumore al polmone aumenta del 18%, e del 22% a ogni aumento di 10 μg/m3 di PM10. Più le polveri sono sottili, insomma, più sono nocive. E pare non esserci una soglia sotto la quale l'effetto cancerogeno - per quanto minimo - viene meno. Alcuni casi di tumori attribuibili agli inquinanti si sono registrati anche in persone esposte a livelli di polveri entro i limiti dell'attuale legislazione europea, che prescrive di non superare per il PM10 i 40 μg/m3 e per i Pm2,5 i 25 μg/m3. «Questo significa che dobbiamo annoverare definitivamente l'inquinamento dell'aria - anche alle concentrazioni normali - fra le cause di tumore al polmone, e considerare d'ora in poi con maggiore attenzione l'impatto dell'inquinamento sulla salute pubblica» ha commentato Saori Kashima dell'Università di Hiroshima in Giappone.

 

 

CUORI INQUINATI - Il secondo studio pubblicato sullo stesso numero di Lancet riguarda invece un'altra conseguenza poco nota dell'inquinamento: lo scompenso cardiaco, cioè quella condizione in cui il cuore, ormai sfibrato e ingrossato, non è più in grado di pompare sangue a

sufficienza. È ormai assodato infatti il ruolo che le polveri giocano nell'infarto, soprattutto nelle persone col cuore già vacillante. Ora però, il team internazionale guidato da Nicholas Mills dell'Università di Edinburgo ha confermato un effetto dei principali inquinanti sui ricoveri e la mortalità da scompenso. Mettendo insieme i dati provenienti da 12 diversi Paesi, i ricercatori hanno potuto riscontrare un chiaro nesso causale fra l'aumento della concentrazione degli inquinanti nell'aria e il subitaneo aggravarsi dello scompenso, addirittura nel giorno stesso della massima esposizione. Il rischio di finire in ospedale per una crisi di insufficienza cardiaca o di morirne cresce del 3,5% all'aumentare di 1 parte su un milione di monossido di carbonio, del 2,3% all'aumento di 10 parti per miliardo di biossido di zolfo, dell'1,7% per uno stesso aumento di biossido di azoto e di circa il 2% per ogni incremento di 10 μg/m3 di polveri. Il perché anche modesti aumenti di polveri e gas mettano il cuore al tappeto coinvolge diversi meccanismi, come spiegano sempre su Lancet Francesco Forastiere e Nera Agabiti del Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario Regione Lazio: da un lato le polveri sottili, passando dai polmoni nel circolo sanguigno, sono infatti in grado di provocare una infiammazione generalizzata che facilita la formazione di placche aerosclerotiche, trombi e ischemie. Dall'altro lo stress chimico determinato dalle particelle inquinanti agisce anche sul sistema nervoso autonomo (simpatico e parasimpatico) determinando aritmia e danni progressivi a cuore e coronarie. Fino al fatale incepparsi della danza che ci tiene in vita. Come nel caso del tumore al polmone, anche nel caso dello scompenso non si è osservata una soglia sotto la quale l'effetto nocivo dell'inquinamento scompare. E da qui l'accorato appello finale dei due studiosi italiani nel loro editoriale su Lancet: «Questi risultati non fanno che ribadire il diritto dei cittadini a un'aria pulita, così come a un'acqua pulita e a un cibo sano. Un obiettivo da raggiungere con impegno, a partire da una legislazione europea più protettiva di quella attuale».

 

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